Questa è la seconda parte del viaggio nell’India millenaria.
Quando ho scelto il Gujarat in realtà non avevo ben chiaro cosa avrei trovato, lo scopo prinicipale doveva rimanere il Kumbh Mela, il resto sarebbe stato il riempitivo di preparazione al grande evento.
La scelta non poteva comunque non essere condizionata dalla mia continua ricerca delle etnie e sicuramente il Gujarat rappresenta, da questo punto di vista, le regione più ricca di un’umanità ancora ancestrale ed attaccata alle proprie tradizioni in netto contrasto con tutto il resto di un’India ormai in affanno verso una nuova dimensione.
Il Gujarat è la regione dove ancora è possibile imbattersi in piccole tribù, che, nonostante il devastante terremoto del 2001, riescono a mantenere, grazie anche ai sussidi del governo di Delhi, un’autonomia dal governo centrale e un assetto ancora vincolato al capo villaggio e quasi intatte tradizioni e costumi.
Talvolta in piccoli nuclei multi familiari, alcuni nomadi come i Mir, altri stanziali come i Bihr, sono spesso dediti al piccolo artigianato. Donne dai lunghi orecchini e monili di metallo, dai nasi inanellati e le braccia interamente ricoperte da bracciali di osso di cammello.
Volti scolpiti dalla fatica e dalle intemperie, dove la povertà è ben nascosta da una fierezza di appartenenza e da una profonda fede in un domani migliore.
Giovani donne, molte di loro già vecchie a trent’anni, e madri di numerosi bambini moccicosi e polverosi, ma sempre eleganti e fiere nei loro abiti multicolori.
Sono belli, bellissimi, i Rabari.
Le donne tutte, portano spesso uno scialle nero di lana leggera sul capo. Simboli estratti dal pantheon hindu scorrono tatuati in file sulle loro pelli olivastre, risalgono lungo il collo fino al mento; le braccia forti, i polsi magri, le mani della terra. I volti sorridenti, occhi neri di cajal, non celano il carattere forte e talora aggressivo di donne che hanno vita e lavoro duro sulle spalle, così come gli scialli neri non smorzano ma esaltano la bellezza dei corpetti ricamati, brulicanti di specchietti, e delle gonne, talvolta turbini di colore, frutto della straordinaria abilità nell’arte del ricamo. I corpetti fasciano aderenti il busto snello lasciando la schiena nuda rigata solo da due laccetti. E nulla sembra più sensuale di una donna Rabari vista da dietro se il vento solleva lo scialle lasciando trapelare spicchi di pelle ambrati e nervosi.
Curano in ogni dettaglio il loro abbigliamento e i tanti gioielli che indossano con la disinvoltura di una veste.
Non ci si può sottrarre al fascino di mangiare in mezzo a loro, comprando un po di fritto sulle loro bancarelle e un po di frutta per reintegrare il sudore della calura del mezzogiorno, camminare alla rinfusa sbirciando nelle modeste e semplici case alla ricerca di fotografie e di curiosità.
Piccole officine di ogni cosa a conduzione familiare, famiglie intere intente a tessere stoffe, o a costruire semplici mestoli, o produrre campanacci di ogni taglia partendo da un piccolo foglio di lamiera.
E’ impressionante il loro senso dell’ospitalità, ovunque sei incitato ad entrare, non tanto per invitarti a comprare, ma a volte solo per farti assistere alla loro grande abilità manuale e soprattutto a quell’innata arte dell’arrangiarsi, unico modo per riuscire a sfamare un’intera famiglia.
Ma il Gujarat è anche vicoli polverosi, carichi di rifiuti maleodoranti, e riserva di cibo per le sacre mucche e per gli innumerevoli cani randagi alla ricerca della sopravvivenza.
Doveva essere un riempitivo eppure il Gujarat si è rivelato una terra eccezionale e capace di restituire emozioni in ogni suo angolo, nel deserto ai confini con il Pakistan, o nelle saline dove ancora oggi si respira l’aria della “marcia del sale”, quando Gandhi e i suoi collaboratori, circa 78, percorsero a piedi i trecento chilometri che separavano Ahmedabad da Dandi, marciando per 24 giorni e arrivando alle saline, il 6 aprile 1930, in diverse migliaia.
Tutto intorno parla di storia, di tradizioni, di costumi, ogni gesto, ogni sguardo, ogni movenza restituisce la netta sensazione di aver compiuto un tuffo nel passato.
Che colori meravigliosi in queste fotografie!
Queste donne così belle, sguardi limpidi, volti puliti.
Sarebbe bello essere bella e fiera come loro.
Bravo! Scatti bellissimi e intensi, come sempre.