[easingsliderpro id=”2″]
Scarica la Guida di Viaggio
Galleria Fotografica - Le Etnie / Hornbill festival
Proiezioni Multimediali - Hornbill Festival / Il Viaggio
Ripartiamo da qui…..
Potremmo definirlo un “Un viaggio antropologico alla ricerca dell’uomo” in mezzo ad una natura ancora selvaggia, attraversando l’Arunachal Pradesh, l’Assam e per finire il Nagaland.
Migliaia di chilometri in strade malsicure, talvolta tagliate a malapena nella roccia altre volte sospese su ponti di corda.
Cento chilometri al giorno, che hanno messo a dura prova le nostre jeep e la nostra schiena, percorsi spesso in 10 ore, attraverso una giungla incontaminata e ricoperta da felci giganti, banani, intrecci di liane, cespugli di orchidee e palme oltre ogni inimmaginabile misura.
La mancanza frequente della corrente elettrica e del riscaldamento hanno contribuito a rendere il viaggio ancor più duro ma non per questo privo del suo fascino.
Il silenzio, la luce tersa dei 4500 metri di Tawang, dove il monastero “pediatrico” ci ha strappato non poca commozione.
Le acque cristalline dei fiumi himalayani, i ponti sospesi di corde e bamboo; donne, dalle unghie smaltate,disseminate lungo centinaia di chilometri a riempire le perenni buche del manto stradale, partendo dalla frantumazione di macigni fino a ridurli in fine brecciolino, a mani nude o con il solo aiuto di piccole mazze e martelli.
Incontri del III tipo con antidiluviani bulldozer, rari in questa regione, atti a ripristinare “strade” interrotte da frane e forse in alcuni tratti mai esistite.
Camion, biciclette, risciò, fatiscenti imbarcazioni per trasportare, come Caronte, “Umanità” e mezzi d’ogni tipo sull’altra sponda del sinuoso Brahmaputra che, come un sacro mandala, nasce nel cuore dell’Asia per poi confluire dopo 2000 km nel Sacro Gange.
Sono stati questi i nostri molteplici vettori in un India ancora addormentata!
Sulle montagne, lungo il confine nord orientale dell’India dal Bhutan alla Birmania, vivono una moltitudine di tribù di razza Indo‐mongolica con un linguaggio del tutto particolare tibeto‐birmano.
La popolazioni di questa regione non amano affatto considerarsi Indiane e, nonostante residenti in territori riconosciuti Stati, “le Sette Sorelle” pur sempre sotto il controllo centrale Indiano, preferiscono definirsi, a buon ragione, Mongole.
Un piccolo gioiello da preservare è l’etnia dei Mompa, sulle montagne himalayane, forse una delle poche etnie tibetane scampata all’invasione cinese.
Nell’ Arunachal Pradesh il villaggio di Ziro, il peggior posto dove prendersi il raffreddore! Nella tribù degli Apatani, infatti, le donne adulte venivano segnate dopo la prima mestruazione con due grandi tappi tondi e neri alle narici nel tentativo di tenerle lontane dalle altre tribù.
Dopo aver attraversato il Brahmaputra lasciamo anche L’Assam, ci dirigiamo verso nord‐est e quindi verso la Birmania per raggiungere la cittadina di Mon.
E’ necessario lasciare ad ogni posto di polizia le generalità e seguire un percorso già prefissato, evitando quelle zone classificate come “off limits” dove ancora sono frequenti attacchi di brigantaggio, soprattutto di notte e soprattutto verso noi stranieri.
Qui tra giungla e foreste, sulle alture delle colline e delle montagne, esistono ancora “villaggi integri”, abitati dai Konyak, le ultime tribù Naga dei nostri tempi, gli ultimi “cacciatori di Teste”.
Percorriamo strade tortuose nella giungla e per decine di chilometri non incontriamo né villaggi né animali,di tanto in tanto qualche “guerriero” a passo veloce con il proprio fucile in spalla, strumento di difesa? Arma del cacciatore? Forse, più di tutti simbolo di fierezza, potere e di forza.
Raggiungiamo il villaggio di Longwa e, come è uso in questi villaggi, veniamo condotti davanti al capo supremo, solo lui potrà darci il permesso di visitare e di fotografare.
Grandi zanne di animali nei lobi delle orecchie, e tatuaggi a V sul volto e sul torace, a significare il loro coraggio e il loro prestigio.
Nella penombra della capanna un gran fumo e il rituale importante della “condivisione della pipa”. Luci radenti, penombre, atmosfera suggestiva! Alle pareti grandi scudi, teschi di animali, un set stupendo per le nostre migliori foto.
Purtroppo sarebbe un paese da girare a piedi e per lunghi periodi, potremmo raggiungere così villaggi lontani, inaccessibili, sperduti o persi, dove forse nemmeno le nostre guide potrebbero capire; dove lo sguardo, fiero, intenso, sarebbe l’unico mezzo di comunicazione.
Alla fine del nostro viaggio abbiamo avuto però la fortuna di incontrare la nipote di un grande Condottiero a capo di sette villaggi tra Nagaland e Birmania. Oggi imprenditrice nel settore del the e degli agrumi, diffusissimi in questa regione, (ma sempre Konyak nel sangue!) ci ha riacceso la speranza e la fantasia proponendoci di ritornare e percorre con lei “i sentieri proibiti”.
Per ora continueremo a viaggiare con la fantasia e attraverso le nostre immagini, sapendo bene che più viaggiamo e più il nostri orizzonti si allontaneranno.
Bisogna percorrere molti chilometri in jeep per raggiungere la lontana città di Kohima, nel Nagaland!
Ogni anno nella prima settimana di Dicembre viene celebrato il “loro festival più importante”, dico “loro” perché non è, e non vuol essere, un festival per turisti.
Scendono da ogni dove per incontrarsi a Kisama, un piccolo villaggio, poco fuori della città, e dar vita ad una vera e propria rievocazione delle loro più antiche tradizioni.
Il Nagaland è una regione perennemente in guerra, lotta contro il governo centrale Indiano nel tentativo di ottenere una improbabile indipendenza, difficile peraltro poi da difendere e da gestire!
In realtà cerca in tutti i modi di difendere il proprio patrimonio, unico al mondo, e che ormai da ogni altra parte sta scomparendo. Vuole difendere le proprie radici storiche, la propria cultura, le tradizioni, cerca di opporsi ad ogni tentativo di globalizzazione che la renderebbe poi uguale a qualsiasi altra regione. Con controlli capillari e ossessivi il governo locale cerca di impedire l’ingresso al turismo “INDIANO” quello che potrebbe in qualche modo, stabilendosi in questo angolo di mondo, alterarne il sottile equilibrio!
L’isolamento geografico e culturale di quest’area ha preservato sedici etnie di origine mongola e tibeto/birmana, nonché un habitat naturale che può essere considerato uno degli ultimi paradisi dell’Asia.
Quelle stesse etnie che molto probabilmente 35.000 anni fa, approfittando della glaciazione, attraversarono a piedi la Beringia per raggiungere poi le regioni del nord e del centro America.
Prima Mongoli con lunghe piume poi, Indiani d’America con le stesse lunghe piume di Tucano sulla testa.
E’ con questo spirito che bisogna assistere al “loro festival”, quasi in punta di piedi, in sordina, cercando di non apparire (difficile per noi bianchi europei!). D’altronde solo così è possibile coglierne il vero significato.
E’ vero è solo una rielaborazione storica, ma quanta fierezza nel loro portamento nei loro canti, nei loro costumi, nelle loro danze di guerra, ancora capaci di far accapponare la pelle!
Solo fino a pochi anni fa (un ventennio) usavano tagliare la testa ai loro nemici, gesto sicuramente truce ai nostri occhi, ma allora ricco di significato. Un rito fatto di forza onore e supremazia, ma anche di dolore lotta leale e sofferenza.
Ieri nemici, oggi uniti nello sfilare tutti insieme contro un nuovo e peggior nemico, il rischio di venir risucchiati in schemi, abitudini, regole che non li appartengono. E’ stato bello esserci da viaggiatori e non da turisti, nel rispetto silenzioso di un angolo di mondo da preservare.
Come sempre le tue foto sono una certezza sia dal punto di vista tecnico che da quello emozionale! Bravissimo, complimenti