Era soprannominato il “luogo del non ritorno”, l’ex ospedale psichiatrico di Volterra, in Toscana, chiuso nel 1978 dopo che fu approvata la legge che condannava i duri trattamenti praticati nei manicomi.
L’ospedale ospitava più di 6 mila malati mentali e adesso… è un luogo abbandonato, percorso solo da qualche curioso o da noi fotografi. Fino a ieri si scavalcava il recinto, o si bucavano la reti perimetrali, oggi si paga un piccolo biglietto per fare un salto indietro nel tempo e nella memoria.
E’ rimasto ben poco di quello che fu. Edifici pericolanti, dove si accede solo sulla propria responsabilità, immersi in una natura che si riprende giorno dopo giorno il suo territorio. Muri stonacati, calcinacci, spunzoni rugginosi e vetri appuntiti ovunque, narrano la desolazione di un posto già triste in passato ed oggi mutilato della sua storia.
Le grate alle finestre, le scritte indecifrabili sui muri, le sedie a rotelle rotte, i letti arrugginiti e le opere d’arte dei pazienti lasciati in pieno degrado, sono immagini che descrivono la tristezza di una ex casa di “matti” che il tempo e l’abbandono sta lentamente distruggendo tra pareti che cadono e oggetti che si deteriorano.
Eppure, qualcosa di loro, “i matti”, è rimasto. I silenzi, come le loro urla, sono ancora dappertutto. “Muri graffiati”, con qualsiasi arnese, parlano di storie inenarrabili.
Nelle ampie sale ho trovato alcuni manichini in gesso abbandonati, tutti senza testa, anche loro mutilati dal tempo o simboleggianti la malattia mentale? Ma quale? La “loro” o la nostra? Cancelli chiusi al mondo per proteggerli o per isolarli?.
E’ nata così la mia fotografia, in spazi indefiniti, come le loro menti, bui tetri, come forse saranno stati davvero nella realtà; ombre come fantasmi, manichini immobili, appoggiati alle pareti, come loro, “i matti” che avranno vissuto così le loro infinite giornate.
Un’esperienza dura nel “luogo del non ritorno” e oggi, come ieri, “il luogo dell’abbandono”.
L’ospedale ospitava più di 6 mila malati mentali e adesso… è un luogo abbandonato, percorso solo da qualche curioso o da noi fotografi. Fino a ieri si scavalcava il recinto, o si bucavano la reti perimetrali, oggi si paga un piccolo biglietto per fare un salto indietro nel tempo e nella memoria.
E’ rimasto ben poco di quello che fu. Edifici pericolanti, dove si accede solo sulla propria responsabilità, immersi in una natura che si riprende giorno dopo giorno il suo territorio. Muri stonacati, calcinacci, spunzoni rugginosi e vetri appuntiti ovunque, narrano la desolazione di un posto già triste in passato ed oggi mutilato della sua storia.
Le grate alle finestre, le scritte indecifrabili sui muri, le sedie a rotelle rotte, i letti arrugginiti e le opere d’arte dei pazienti lasciati in pieno degrado, sono immagini che descrivono la tristezza di una ex casa di “matti” che il tempo e l’abbandono sta lentamente distruggendo tra pareti che cadono e oggetti che si deteriorano.
Eppure, qualcosa di loro, “i matti”, è rimasto. I silenzi, come le loro urla, sono ancora dappertutto. “Muri graffiati”, con qualsiasi arnese, parlano di storie inenarrabili.
Nelle ampie sale ho trovato alcuni manichini in gesso abbandonati, tutti senza testa, anche loro mutilati dal tempo o simboleggianti la malattia mentale? Ma quale? La “loro” o la nostra? Cancelli chiusi al mondo per proteggerli o per isolarli?.
E’ nata così la mia fotografia, in spazi indefiniti, come le loro menti, bui tetri, come forse saranno stati davvero nella realtà; ombre come fantasmi, manichini immobili, appoggiati alle pareti, come loro, “i matti” che avranno vissuto così le loro infinite giornate.
Un’esperienza dura nel “luogo del non ritorno” e oggi, come ieri, “il luogo dell’abbandono”.