Dovrò passare sopra troppe pagine dolorose della storia, ma mi piace poter immaginare Buenos Aires come la realizzazione di un sogno, il porto sicuro, il punto di arrivo. A fine dell’800 migliaia di persone si riversarono sul suolo argentino richiamati dalla promessa di un pezzo di terra. Partiti da mezza Europa con la speranza di vedersi realizzare il proprio sogno ma tutti con la consapevolezza di lasciare, comunque alle spalle, una povertà insopportabile. E’ a questo che ho pensato girando per la Boca, El Camminito, una piccola strada stretta tra basse case colorate e dal tetto di lamiera, oggi ricca di bancherelle per turisti ma un tempo popolata da emigranti, per lo più italiani, genovesi, che lavoravano nel vicino porto, dove recuperavano i colori avanzati dalla verniciatura delle navi per dare vita alla strada più variopinta di Buenos Aires. La Boca, l’imboccatura del fiume alla città, la sera si popolava di gente che al ritmo delle percussioni, in combinazione con le loro diverse tradizioni musicali, davano vita alla Milonga una danza che si avvicinava a quel ballo che oggi conosciamo come Tango. Pian piano con l’introduzione del bandonion e di altri strumenti, la loro musica si trasformò in quello che è il tango di oggi, perdendo sempre più quell’apparenza gioiosa iniziale per acquisire una sonorità più corposa e accorata che meglio andava a descrivere quelle emozioni che la canzone stessa voleva esprimere. E’ qui lungo il Rio della Plata che ebbe vita tra i malavitosi, e non solo, il Lunfardo, uno slang come codice per comunicare senza farsi capire da altri, un insieme di dialetti con una forte contaminazione italiana, diventata poi la lingua ufficiale del Tango. Possa piacere o no ma ovunque a Buenos Aires è ancora vivo il ricordo di Evita Peròn, la si ritrova sui manifesti delle strade come sui grandi pannelli luminosi sulle facciate dei palazzi nelle più importanti vie della città, un simbolo. Personaggio certamente discusso, amato ma anche da molti odiato, rimasta però, come tutte le persone scomparse precocemente, un simbolo per la sua storia d’amore e di speranza in anni difficili; ricordo ancora vivissimo e oggi consacrata come la principessa del Taj Mahal.La storia si ripete, ma nonostante il suo secondo e profondo default, Buenos Aires cerca di apparire, soprattutto ai turisti, come una elegante signora, pulita, dai grandi boulevard, dai grandi giardini ben curati e dai mezzi pubblici straordinariamente efficienti. Ma è la gente il vero cuore di questa grande città, nonostante venga continuamente detto di stare attenti ai pericoli più atroci, il sorriso, la cordialità, l’emozione nel sentire che vieni dall’Italia, ha reso ogni incontro una piacevole sorpresa. Ognuno di loro ha un nonno, una nonna, un qualsiasi parente italiano, ogni incontro ti riporta e li riporta a casa, in quella terra in cui non ritornerebbero mai, nonostante le loro difficoltà, per quel ricordo ormai tramandato della loro “insopportabile povertà”.
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