….lasciamo la terra estrema per tornare sull’altopiano etiope.
Di nuovo “un salto verso il cielo”, 2000 metri sopra il livello del mare dove la vegetazione ritorna ad essere la padrona…..
Attraversiamo velocemente Macallè, dove la nostra storia scrisse pagine di guerre, di conquiste e di sconfitte. Qui una piccola guarnigione italiana, d’istanza sul forte di Enda Yesus, nel 1895 resistette, per poi capitolare, più di un mese all’assedio del principale esercito etiope guidato dallo stesso negus Menelik II.
L’etiopia è cosparsa di ricordi della nostra recente storia!
Con le jeep percorriamo l’affascinante Sekota road che ci porterà fino a Lalibela.
In realtà bisognerebbe arrivarci all’alba, a piedi e dopo mesi di cammino, ma la nostra è una fretta del tutto occidentale e non possediamo la stessa fede dei pellegrini, ricoperti dal candido shamma, che incrociamo con le nostre auto e che lasciamo al nostro passaggio cosparsi da una fine polvere rossa.
Lalibela oggi è poco più di un grosso villaggio, ma nel passato è stata Roha, la capitale della dinastia discendente dall’Impero di Axum. E’ ancora oggi importante città santa d’Etiopia, seconda solo alla stessa Axum.
Ci ritroviamo più giovani di otto anni, oggi è il 28 Tahsàs del 2007! L’Etiopia segue un antico calendario lunare di 13 mesi che fa slittare indietro gli anni e in avanti tutta la teoria di feste natalizie: Timkat, l’epifania cadrà il 19, Genna, Natale, è domani 6 gennaio. Neanche l’ora corrisponde, perché, come in fondo è giusto che sia, il giorno non inizia alla mezzanotte ma al sorgere del sole.
Giungiamo al tramonto guidati dalle luci artificiali e moleste che dominano sopra gli orribili tetti bianchi in plexiglas eretti dall’UNESCO a protezione delle chiese. E’ il prezzo che il sito paga per essere diventato patrimonio mondiale dell’umanità.
D’altronde come lasciare in balia del tempo queste splendide undici chiese monolitiche, fatte scavare con le mani, o poco più, nel XII secolo del leggendario re Gebre Mesqel Lalibela, “nato avvolto dalle api”, sacre agli etiopi, che volle realizzare il suo sogno di riedificare la sua fantastica nuova Gerusalemme, da contrapporre a quella ormai sottratta dai musulmani alla cristianità?
Per secoli avevano retto alle incursioni e all’usura del tempo, ma l’uomo moderno “ha deciso”, con alti pali di acciaio e coperture avveniristiche, di trasformare un luogo così autentico e sacro in una gigantesca astronave nel deserto.
Scempio per noi fotografi, ladddove avremmo sognato di poterle ancora ammirare circondate da ulivi e arbusti di ginepro, immortalare le loro sagome al tramonto e inserire le loro linee imperfette nella sezione aurea o “proporzione divina” delle nostre immagini.
Ciò nonostante, e nonostante il turismo di massa che giunge ovunque, questo posto incantato riesce a mantenere intatto tutto il suo fascino. I pellegrini sembrano incuranti di ciò che li circonda, giungono da ogni dove, arrivano esausti e laceri ma felici, cercando in questa notte della vigila di natale di mescolarsi alla folla per aspettare in preghiera la nascita di Gesù.
Cercano un riparo sotto le alte mura di friabile gress vulcanico per vegliare fino all’alba, semi-soffocati dalle esalazioni forti del sudore e dell’incenso, storditi dal fumo delle candele e dall’ipnotico cantilenare dei sacerdoti.
Quanta fede nella povera gente, quanta arroganza e quanta supponenza nella nostra civiltà!
Mi ritorna in mente l’emozione al mio arrivo al Khumb Mela, dove fiumi di uomini si immergono nelle acque sacre del Gange, o l’ascesa lungo l’alta collina di Palitana dove in affanno si salgono 4000 gradini per cercare di raggiungere nel cielo le divinità jainiste.
Ma anche qui, come non commuoversi davanti all’immane opera di decine di migliaia di uomini che, in solo due decenni, quasi a mani nude e al riparo da occhi indiscreti, scolpirono, scavando all’interno della roccia, la nuova Gerusalemme!
Percorriamo lunghi cunicoli scavati nella terra, un vero labirinto che mette in comunicazione le undici chiese, il buio è completo. Si procede in fila indiana, a tentoni come ciechi, appoggiandosi ogni tanto alle umide pareti di terra. In alcuni punti la sensazione è quella di soffocare, bisogna rimanere calmi e credere che prima o poi si riaffiorerà in una nuova chiesa. Tornando all’aperto la folla ride e le donne lanciano lo zagharid, l’acutissimo urlo di esultanza e di festa di tutti i Paesi arabi e magrebini.
Girelliamo per le strade fiancheggiate da capanne di paglia, qualche bancarella, tende improvvisate, dormitori sotto le stelle, vivide e intense come solo un cielo d’Africa riesce ad offrire.Non si può non rendersi conto quanto il natale della nostra civiltà sia lontano da qui e ripensando a quella notte di poco più di 2000 anni fa si ha la sensazione che doveva essere stata proprio così; pastori, mendicanti, pellegrini, autorizzati a condividere l’acida Injera, nella notte più lunga e più carica di sogni e di speranze di tutta l’umanità.
proiezione fotografica
Galleria Fotografica
Questo è il viaggio più emozionante che tu abbia fatto. Niente schifezze umane, solo natura estrema e incontaminata. Bellissimo. Penso ti rimarrà dentro per sempre. Ti invidio
È la passione che fa la differenza!
Tra un bravo fotografo e uno che rende la fotografia arte, c’è una sola differenza, la passione!
Hai la grande capacita di”sporcare” la tua arte di passione e anche se è necessaria la ragione, per fotografare con grazia e con rispetto i luoghi e le persone, è sicuramente la tua passione quella più palpabile, ma si sa che la ragione e la passione sono sorelle.
complimenti, veramente bravo!
Delle due sorelle, la Passione è di gran lunga la più subdola: per insinuarsi nei tuoi pensieri, aspetta che la Ragione sia andata a dormire.
(Massimo Gramellini)